Il primo elemento utilizzato per il trattamento dei reflui di natura biologica è costituito dalle vasche settiche, ovvero vasche IMHOFF.

1Le vasche settiche tipo Imhoff sono costituite da una vasca principale (digestione anaerobica) che contiene al suo interno un vano secondario (di sedimentazione). L'affluente entra nel comparto di sedimentazione, che ha lo scopo di trattenere i corpi solidi e di destinare il materiale sedimentato attraverso l'apertura sul fondo inclinato, al comparto inferiore di digestione. È proporzionato in modo tale da garantire il giusto tempo di ritenzione e da impedire che fenomeni di turbolenza, causati dal carico idrico, possano diminuire l'efficienza di sedimentazione. Il comparto di digestione è dimensionato affinché avvenga la stabilizzazione biologica delle sostante organiche sedimentate (fermentazione o digestione anaerobica). Sono costruite in conformità alle descrizioni, al proporzionamento dei volumi ed alla capacità di depurazione sancite dal Comitato dei Ministri per la tutela delle acque dall'inquinamento nella delibera del 04/02/77 (S.O.G.U. n. 48 del 21/02/77).

Nell'interesse dell'ambiente in generale, ma sopratutto delle persone che frequentano gli insediamenti circostanti, è certamentamente più opportuno adottare i depuratori biologici a fanghi attivi ad ossidazione totale.

Vasche biologiche IMHOFF in Polietilene

Capacità
litri
Abitanti
equivalenti
Diametro
cm
H totale
cm
Peso
kg
 
910
6 117 137 52  
1500
8 143 147 57  
2250
15 146 205 100  

Vasche biologiche IMHOFF in Vetroresina

Capacità
litri
Abitanti
equivalenti
Diametro
cm
H totale
cm
Peso
kg
   
750
5 95 145 40    
1060
7 106 155 48    
1380
9 120 155 61    
1582
11 120 160 72    
2370
13 140 174 95    
2920
16 160 165 95    
3400
20 160 190 110    
3750
25 160 220 170    

 

scarico1

 

Il refluo in uscita dal trattamento primario, viene avviato al trattamento secondario (impianto biologico)

Un "trattamento secondario" ha lo scopo di trasformare in sali minerali i vari componenti organici presenti nel liquame. Tale processo di mineralizzazione delle sostanze organiche è dovuto all'ossidazione del liquame con aria insufflata che alimenta e sviluppa l'azione dei microorganismi aerobici e si realizza negli impianti a "fanghi attivi" o "ossidazione totale" in cui sono presenti componenti elettromecanici.

 


Ai fini del Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n. 152, "Norme in materia ambientale", si intende per:

  • a) "abitante equivalente": il carico organico biodegradabile avente una richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni (BOD5) pari a 60 grammi di ossigeno al giorno;
  • ae) "trattamento primario": il trattamento delle acque reflue che comporti la sedimentazione dei solidi sospesi mediante processi fisici e/o chimico-fisici e/o altri, a seguito dei quali prima dello scarico il BOD5 delle acque in trattamento sia ridotto almeno del 20 % ed i solidi sospesi totali almeno del 50 %;
  • af) "trattamento secondario": il trattamento delle acque reflue mediante un processo che in genere comporta il trattamento biologico con sedimentazione secondaria, o mediante altro processo in cui vengano comunque rispettati i requisiti di cui alla tabella 1 dell'Allegato 5 alla parte terza del presente decreto;

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 La depurazione delle acque di scarico costituisce uno dei problemi ambientali più rilevanti. Gran parte dei rifiuti delle attività umane, siano esse domestiche o produttive, è infatti prodotto in forma acquosa. Questi scarichi liquidi devono essere depurati dal loro carico inquinante prima di essere riversati nell’ambiente.
Se il liquame è inquinato da sostanze biodegradabili e non sono presenti composti tossici o inibenti per i microrganismi, il sistema depurativo più conveniente è quello biologico. Questo consiste nel produrre, in tempi e spazi concentrati, quello che avviene normalmente in natura, dove le sostanze di rifiuto vengono degradate da opportuni microrganismi demolitori, che le trasformano in composti minerali che rientrano a far parte dei cicli naturali essendo assimilabili dagli organismi vegetali.
I depuratori biologici sono quindi essenzialmente impianti in cui si realizza, in vari modi, il contatto tra liquame da depurare e una grande massa di microorganismi degradatori. A seconda che i microrganismi lo richiedano o meno, il processo può svolgersi in presenza o in assenza di ossigeno. Nel primo caso si parla di ossidazione biologica o degradazione aerobica, nel secondo di fermentazione o degradazione anaerobica. Molti ceppi di microrganismi possono svolgere entrambe le funzioni e sono facoltativi, per distinguerli dagli aerobi stretti o anaerobi stretti che sono specializzati in una solo delle funzioni e non possono sopravvivere nelle altre condizioni.
Gli impianti di depurazione biologica possono essere costruiti per operare con uno o con l’altro dei due principi, ma non con entrambi contemporaneamente. Le strutture reattive sono infatti profondamente diverse. Nel caso di impianti anaerobi si forniscono grandi quantità di aria (o di ossigeno) alle masse biologiche, nel caso degli impianti anaerobici viceversa queste devono essere protette anche dal contatto con l’aria atmosferica. I due tipi di impianti hanno applicazioni diverse. I processi aerobici sono più veloci nel degradare le sostanze, ma più costosi in termini di unità di inquinamento rimosso, a causa del continuo rifornimento di ossigeno che richiedono. Viceversa gli impianti anaerobici hanno una complessità maggiore che si traduce in un maggiore costo iniziale e in una gestione più difficile.
Per scarichi poco o mediamente inquinanti (come fognatura o poco più) si preferisce quindi ricorrere a un sistema aerobico, che consente di risparmiare tempo e investimento iniziale, garantendo, al contempo, una buona costanza nei rendimenti depurativi. Per contro i costi di esercizio sono abbastanza alti. Quando il carico inquinante supera di 5-10 volte quello di una fognatura tipica (scarichi zootecnici, industriali,…..) i costi di esercizio di un trattamento aerobico sono così alti da rendere conveniente l’adozione di un sistema anaerobico.
L’impianto di depurazione a fanghi attivi, qui di seguito descritto, fa parte della categoria degli impianti aerobici. Esso è quindi indicato per il trattamento degli scarichi civili- domestici e di tutti quelli a prevalente componente biodegradabile di analoga concentrazione inquinante.
Gli impianti ad ossidazione biologica sono costruiti in molte tipologie. Le differenze tra l’una e l’altra derivano dalla scelta operata per realizzare il contatto microrganismi/sostanze da degradare/aria. Le colture batteriche possono essere fisse (adese) su supporti solidi o mobili (sospese nella massa liquida). Tra le innumerevoli varianti che sono state proposte nel tempo, due sono quelle che si sono maggiormente affermate: i percolatori, con massa adesa su supporto fisso (filtri percolatori) o su supporto mobile (biodischi) e le vasche a fanghi attivi (massa sospesa).
L’impianto proposto dalla  è del secondo tipo, ma la Ditta è in grado di sviluppare soluzioni basate sul primo tipo oltre a produrre correntemente impianti di depurazione basati su principi chimico-fisici, indicati per scarichi poco inquinanti presenti prevalentemente sotto forma sospesa.

 

L’IMPIANTO A FANGHI ATTIVI

 

GENERALITA'
L’impianto è costruito secondo l’impostazione classica. Il liquame viene sottoposto quindi nell’ordine alle seguenti fasi depurative: grigliatura-dissabbiatura, equalizzazione, ossidazione biologica, sedimentazione, disinfezione (le fasi in neretto sono sempre presenti, le altre sono facoltative a seconda delle esigenze). L’impianto si distingue per il trattamento riservato al fango di supero che viene disidratato su sacchi percolatori dopo un opportuno condizionamento chimico. Questo trattamento è più sofisticato di quelli abitualmente in uso su impianti di questa taglia (disidratazione naturale del tal quale su letti di essiccamento) e presenta indubbi vantaggi in termini di spazio occupato e di problemi igienici.
Il refluo da depurare deve essere alimentato dall’impianto con portata e composizione abbastanza costanti. A monte dell’impianto deve essere quindi prevista una vasca di equalizzazione.
L’impianto necessita di energia elettrica e di prodotti chimici per il trattamento dei fanghi e per la eventuale disinfezione. L’energia elettrica è necessaria soprattutto per alimentare i macchinari impiegati pe la fornitura di aria (soffianti compressori) e per le pompe di sollevamento iniziale e di ricircolo dei fanghi dal sedimentatore secondario alla vasca di areazione. Una richiesta di energia molto minore (trascurabile rispetto alla precedente) è quella delle apparecchiature deputate al trattamento del fango di supero (agitatore, pompe dosatrici dei prodotti chimici). Anche i costi dei materiali di consumo (prodotti chimici, sacchi drenanti) sono nettamente inferiori alla spesa per l’energia elettrica.

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DESCRIZIONE
L’impianto è costruito da un prefabbricato in lamiera di acciaio a forma di parallelepipedo al cui interno sono stati ricavate delle suddivisioni per separare le zone in cui avvengono le diverse fasi.

 

Lo schema a blocchi dell’impianto è il seguente:

 

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Nell’impianto entra il liquame grezzo ed esce l’acqua depurata oltre ad un modesto quantitativo di fanghi di supero disidratati e stabilizzati. Si producono anche quantità variabili, ma comunque minori rispetto al fango, di materiale grigliato e di corpi pesanti (sabbie, ghiaia, vetro, metalli,…) presenti normalmente nelle acque di scarico civili come corpi estranei Nell’impianto sono immerse anche grandi quantità di aria (che comportano la principale richiesta di energia elettrica) e modesti quantitativi di prodotti chimici (per il trattamento del fango di supero e per eventuale disinfezione).

 

SCHEMA IMPIANTO BIOLOGICO CHIMICO
Con vasca Imhoff a monte

 

 

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SCHEMA IMPIANTO BIOLOGICO CHIMICO
Senza vasca Imhoff a monte

 

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FUNZIONAMENTO  

Grigliatura
Il liquame grezzo perviene alla vasca di equalizzazione attraverso una griglia che trattiene i corpi grossolani galleggianti o sospesi con dimensioni superiori a 0,5-1 cm. La griglia è a pulizia manuale negli impianti di piccola potenzialità (fino a 50-100 m³/giorno), e meccanizzata in quelli di dimensioni superiori. Per scarichi di piccola entità normalmente privi di corpi grossolani (acque industriali, scarichi civili già pretrattati, per es. con fosse Imhoff) la grigliatura può anche essere non necessaria. La pompa di sollevamento che preleva il liquame dalla vasca di equalizzazione è dotata comunque di un sistema di guardia (filtro a rete metallica) che impedisce l’aspirazione di materiali che potrebbero danneggiarla; questi non raggiungono quindi lo stadio successivo e si accumulano nella vasca di equalizzazione da dove di tanto in tanto dovranno essere rimossi.

 

Equalizzazione - Preareazione - Dissabbiatura
La vasca di equalizzazione funge anche da sedimentatore grossolano (dissabbiatore). In essa infatti viene insufflata una blanda quantità di aria che genera una miscelazione sufficiente a non far depositare le sostanze organiche sospese nel liquame ma non così forte da impedire la sedimentazione delle sabbie (corpi di natura prevalentemente inorganica ad alto peso specifico). Queste si raccolgono in un pozzetto sul fondo della vasca, da dove vengono evacuate a mezzo idroeiettore pneumatico o con un’apposita apertura. L’areazione serve anche per miscelare e omogeneizzare il liquame e soprattutto ad impedire l’instaurarsi di condizioni settiche. In questo caso si avrebbero problemi di natura igienica (sviluppo di gas tossici e maleodoranti) e tecnologici. Si è riscontrato infatti che acque fortemente settiche provocano uno scadimento del rendimento depurativo dei trattamenti bioossidativi. E’ invece dimostrato sperimentalmente che aerando il liquame prima del processo a fanghi attivi (prearazione) si ottiene in questa seconda fase una migliore flocculazione e una maggiore rimozione di sostanze organiche. Inoltre tra i gas che si liberano in condizioni settiche c’è idrogeno solforato, che oltre ad essere fortemente tossico, si ossida facilmente all’aria formando acido solforico estremamente corrosivo per le parti metalliche. Per questa funzione si possono utilizzare vasche che possono essere già presenti presso l’utenza (pozzetti di accumulo, vasche di raccolta, collettori,…). Il volume deve essere almeno pari a metà della portata giornaliera trattata dall’impianto. Se si usano allo scopo vasche interrate , i liquami confluiscono a questa fase per gravità e devono poi essere sollevati meccanicamente all’impianto  che si trova fuori terra. Se il cliente non dispone di una volumetria adatta la vasca di accumulo/equalizzazione può essere fornita dalla , e in questo caso sarà costruita fuori terra con lo stesso battente idrostatico della successiva vasca a fanghi attivi, in modo che il liquido possa passare a questa con uno stramazzo superficiale. La vasca di equalizzazione è in grado per sua natura di compensare anche nelle temporanee variazioni di portata. Tuttavia se vengono alimentate alte portate per lunghi periodi di tempo si può superare la capacità di compensazione data dal volume limitato della vasca e una parte di liquido dovrà essere by-passato a valle dell’impianto. E’ questo il caso di trattamenti di fognature che raccolgano anche l’acqua piovana. In questo caso la pioggia aumenta la portata ma contemporaneamente diluisce il carico inquinante per cui il mancato trattamento di una quota di liquame grezzo non comporta grossi problemi sul ricettore finale. Il by-pass viene effettuato semplicemente per sfioro da uno stramazzo superficiale (troppo pieno).

 

Ossidazione biologica.
Il liquame omogeneizzato viene alimentato alla vasca fanghi attivi con portata costante. Il sollevamento dalla vasca di equalizzazione avviene mediante una pompa ad immersione a portata costante comandata da un galleggiante posizionato nella stessa vasca. Nelle ore di scarso afflusso di liquame (per es. nelle ore notturne) il livello di questa vasca può scendere sotto a quello minimo impostato con il galleggiante e quindi la pompa si arresta. Nella vasca di ossidazione biologica il liquido viene mescolato con un’alta concentrazione di fanghi biologici sotto condizioni di costante aerobiosi. In altre parole la miscela fanghi-liquido contiene sempre una concentrazione di ossigeno disciolto sufficiente per garantire lo svolgimento ottimale dei processi depurativi di degradazione operati dai microrganismi. La presenza di una certa quota di ossigeno disciolto insieme alla alta concentrazione di microrganismi mantenuta in questa zona permette la massima velocità di rimozione delle sostanze inquinanti. Queste vengono rimosse dal liquido attraverso vari meccanismi. Una parte viene degradata fino a prodotti non inquinanti (anidride carbonica e acqua) e una parte viene trasformata in composti utili alle cellule viventi e inglobata sotto varie forme nella massa solida sedimentabile costituita dai fanghi attivi stessi. Il risultato finale è comunque quello di eliminare le sostanze inquinanti dall’acqua che viene scaricata.
La necessaria concentrazione di ossigeno disciolto viene garantita dall’insufflazione di una grossa quantità di aria compressa dal fondo della vasca. Questa risalendo alla superficie attraversa la massa liquida creando un intimo contatto che permette a parte dell’ossigeno atmosferico in essa contenuto di sciogliersi nell’acqua. Contemporaneamente il movimento cerato dalle bolle di aria garantisce anche il mescolamento completo ed uniforme di tutta la miscela acqua-fanghi contenuta nella vasca, in modo che tutta la massa dei fanghi sia areata e il liquido ben omogeneizzato.
L’aria viene fornita o attraverso soffianti centrifughe che alimentano appositi diffusori ad altro rendimento fissato sul fondo della vasca, che mediante un sistema Venturi aspira l’aria direttamente dall’atmosfera. Entrambi i sistemi garantiscono anche il necessario mescolamento alla miscela liquida. Esistono anche altri sistemi di areazione, come le turbine meccaniche superficiali, che sono però più adatti per bacini di maggiori dimensioni. I due sistemi da noi adottati presentano una spesa energetica riferita all’unità di ossigeno disciolto fornito pressochè equivalente e che si situa tra le più basse in assoluto tra tutti i sistemi di areazione applicati su larga scala (< 0,5 kWh per Kg di ossigeno disciolto in acqua pulita). Il secondo sistema presenta però minori oneri di manutenzione, perché non subisce i fenomeni di sporcamento che pregiudicano nel tempo le performance dei diffusori porosi. Il tipo di areatore fornito può comunque essere scelto di volta in volta con il cliente.
Negli impianti l’areazione è comandata da un temporizzatore programmabile su cui vengono impostati i periodi di accensione e spegnimento. Se nelle ore notturne, ad esempio, l’afflusso di liquame da depurare è molto limitato, può essere sufficiente mantenere in funzione solo una parte degli aeratori, ottenendo un sensibile risparmio sulle spese di energia elettrica. Infatti i processi di ossidazione biologica raggiungono la massima velocità di degradazione già a concentrazioni di ossigeno disciolto di 2-3 mg/l, così che una immissione di aria maggiore di quella necessaria ad ottenere questo valore provoca solo un aumento dei costi. Poiché, come abbiamo già detto, questa operazione rappresenta già la voce preponderante in termini di spesa energetica è molto importante un buon ridimensionamento delle apparecchiature relative. D’altra parte infatti una reazione non in grado di mantenere almeno 1-1,5 mg/l di ossigeno disciolto nella miscela aerata comporta oltre ad una diminuzione della velocità di depurazione la completa assenza del fenomeno della “nitrificazione”, ovvero dell’ossidazione dell’azoto presente nei liquami in forma ammoniacale. I batteri deputati a questa trasformazione sono infatti molto sensibili alla concentrazione di ossigeno disciolto, oltre che ad altre numerose variabili. La mancata trasformazione di almeno una parte dell’azoto ammoniacale comporta inevitabilmente, per scarichi domestici di media concentrazione, il superamento dei limiti di legge previsti per questo particolare parametro nel caso di scarico in acque superficiali. E’ quindi preferibile operare con un leggero sovradosaggio per non correre il rischio di far scendere la concentrazione di ossigeno disciolto al di sotto dei valori critici. L’ideale sarebbe di far comandare le apparecchiature di aerazione da un meccanismo di controllo che riceva segnali direttamente da un misuratore di ossigeno disciolto posizionato nella miscela aerata in questo modo le macchine verrebbero accese solo quando il valore misurato scende sotto una soglia minima pre-impostata, e verrebbero spente al superamento di un valore limite superiore. Negli impianti più grossi questo è realizzato comunemente perché il risparmio di energia elettrica che così si realizza giustifica appieno i maggiori investimenti necessari. Negli impianti che sono di taglia piccola e medio-piccola, questo meccanismo non è fornito in dotazione ma può essere installato, su richiesta, sui modelli di maggiori dimensioni (>1000 abitanti equivalenti).

 

Sedimentazione secondaria
Dalla fase di ossidazione biologica esce una miscela acqua-fango che deve essere inviata a un sedimentatore per separare il liquido ormai privo della maggior parte delle sostanze organiche dalla massa di fango attivo che deve essere rinviato nella vasca di ossidazione per esplicare la sua azione sul nuovo liquame inquinato. Negli impianti  il sedimentatore si trova contiguo alla vasca di ossidazione e il liquido vi accede provenendo da questa per semplice stramazzo superficiale. Qui la particolare geometria del sedimentatore e le condizioni di quiete del liquido permettono una ottimale separazione delle due fasi. Il liquido chiarificato risale verso il bordo superiore da dove sfiora da una lama di stramazzo, mentre il fango si accumula sul fondo del sedimentatore guidato nella zona di rilievo dalle pareti inclinate con cui è costruita la parte inferiore del sedimentatore. Da qui viene periodicamente inviato attraverso una apposita pompa alla vasca di ossidazione. Una piccola quota di questo fango deve essere smaltita perché gli impianti a fanghi attivi presentano una produzione netta di fango (fango di supero) biologico che se non allontanata, finisce col provocare gravi inconvenienti. Per consentire questa operazione una piccola quota di fango viene prelevata dal fondo del sedimentatore con cadenza circa giornaliera e inviata sfruttando il battente idrostatico nella zona di condizionamento chimico. La quota prelevata è regolata agendo sull’altezza del galleggiante che si trova in questa vaschetta. La frequenza di questa operazione è impostata con l’apposito temporizzatore e regolata in base alla produzione di fango che viene misurata via via nell’impianto con semplici procedure manuali. Con un po’ di esperienza l’operatore arriverà a impostare questa frequenza in modo da mantenere un perfetto equilibrio tra fango prodotto e fango prelevato lasciando nella vasca di ossidazione una concentrazione di fango attivo costante.

 

Ricircolo del fango.
Questa operazione richiede apparecchiature (pompe) regolabili in quanto la portata ricircolata dipende dal grado di inspessimento raggiunto dal fango sul fondo del sedimentatore. Se il fango si concentra di più si raccoglie in un minor volume e minore deve quindi essere la portata della pompa che lo riporta nella vasca di ossidazione . L’operazione di ricircolo in ogni caso una parte importante dell’intero processo, anche in termini di consumo energetico poiché la portata ricircolata è comunemente il 50-100% della portata del liquame trattato nell’impianto. Questi valori così alti sono una conseguenza della necessità di mantenere elevate concentrazioni di fango nella vasca di aerazione e del fatto che in un normale processo di inspessimento per gravità il fango non riesce a raggiungere valori di concentrazione molto più alti di quelli che ha nella vasca di ossidazione. Se a questo si aggiunge l’osservazione che al sedimentatore secondario giunge una portata che è data dalla somma tra la portata liquida trattata e la portata di ricircolo stessa si può capire facilmente come la portata di ricircolo del fango debba assumere valori così elevati.

 

Per chiarire meglio queste considerazioni riportiamo il bilancio di massa nella zona interessata:

 

Se assumiamo trascurabile la portata di fango di supero estratta (non indicata in figura) tutto il fango deve essere ricircolato e quindi deve valere la relazione:

 

Quantità di fango uscente dalla vasca di ossidazione = Quantità di fango uscente dal sedimentatore

 


E quindi se chiamiamo con Ca e Cf le concentrazioni di solidi in areazione e del fango ricircolato deve valere l’uguaglianza

 

(Qi+Qr) Ca = Qr Cf

 

da cui

 

Qr = Qi Ca / (Cf-Ca)

 

Quindi se ad esempio Ca = 4 gr SS/litro e Cf = 10 gr SS/litro, risulta che Qr = 2/3 Qi = 0,67 Qi. Le concentrazioni riportate nell’esempio sono valori medi tipici di un impianto a fanghi attivi. E’ evidente che la portata di ricircolo è tanto maggiore quanto minore è la differenza tra Cf e Ca. La portata di ricircolo è uguale a quella trattata dall’impianto quando Cf è il doppio di Ca. Non è infrequente che questo si verifichi in pratica, o che addirittura ci sia una differenza ancora minore tra le due concentrazioni. In tal caso quindi la portata del fango di ricircolo del fango supererà quella liquida dell’impianto. Crediamo di aver chiarito quindi perché la portata del fango di ricircolo è dello stesso ordine di grandezza di quella liquida che attraversa l’impianto. Di conseguenza le apparecchiature preposte a questa operazione contribuiranno in misura significativa al consumo complessivo di energia dell’impianto.
Il ricircolo dei fanghi viene effettuato con una pompa appositamente dedicata a questo scopo. Il fango viene prelevato dal fondo conico del sedimentatore e inviato nella vasca di ossidazione. L’operazione è temporizzata con un proprio timer analogamente a quanto accade per le apparecchiature preposte all’areazione della miscela acqua-fango. Durante le ore di scarso afflusso di acqua all’impianto anche questa operazione sarà impostata con una frequenza minore. Tuttavia non è opportuno lasciare il fango per troppo tempo sul fondo del sedimentatore per l’instaurarsi di fenomeni putrefattivi con conseguenze igieniche e tecnologiche (risalita del fango, lisi delle cellule batteriche con liberazione di alte concentrazioni di sostanze inquinanti, diminuzione dell’attività del fango,…). Si terrà quindi conto di un intervallo massimo di 2-3 ore da non superare tra un invio di fango e l’altro. Nelle ore di scarso afflusso di liquido al depuratore questo può comportare il passaggio di tutto il fango presente nel sedimentatore nella vasca di areazione. Si avrà quindi una momentanea maggiore concentrazione di fango nella vasca di ossidazione che tuttavia non comporta problemi particolari ristabilendosi man mano che il flusso idraulico attraversante l’impianto riaumenterà. Di questo si dovrà tenere conto però in fase di misurazione della concentrazione di solidi sospesi in vasca di areazione. La misura andrà fatta quando il fango nel sedimentatore avrà un livello medio.
Proprio questa riserva di fango contenuta nel sedimentatore consente una buona flessibilità operativa dell’impianto. Nel caso infatti sia necessario aumentare o diminuire la concentrazione di fango nella vasca di areazione si può aumentare o diminuire il rapporto di ricircolo spostando una quota di fango dal e nel sedimentatore. La possibilità di variazione del rapporto di ricircolo consente di fronteggiare anche altre disfunzioni che si possono presentare frequentemente negli impianti di depurazione. Nel caso ad esempio di rigonfiamento del fango (bulking) il livello di questo nel sedimentatore aumenterà fino a non permettere il trattenimento di questo al suo interno. In queste condizioni si può avere una consistente fuga di fango dall’impianto (dilavazione) con conseguente diminuizione della concentrazione di solidi sospesi nella miscela areata. L’aumento del rapporto di ricircolo consente, entro certi limiti, di evitare che il fango fuoriesca dal sedimentatore. Un altro inconveniente in cui risulta utile l’aumento del rapporto di ricircolo è quello del “rising” ovvero la risalita di fango sulla superficie del sedimentatore. Questo fenomeno è dovuto all’instaurarsi di condizioni anaerobiche o anossiche che innescano una fermentazione del fango nel primo caso o una denitrificazione nel secondo (se si hanno nitrati presenti nel liquido). In entrambi i casi i fanghi sviluppano gas (biogas nel primo caso e azoto nel secondo) che aderendo in piccole bollicine ai fiocchi li trascinano in superficie. La diminuzione del tempo di permanenza del fango nel sedimentatore può consentire di risolvere l’inconveniente.

 

Trattamento del fango di supero
L’utilizzo di sostanze inquinanti come fonte di cibo per la crescita di microrganismi e la produzione di sostanze di scarto non ulteriormente biodegradabili comportano un continuo aumento della massa di fango attivo presente all’interno dell’impianto. Per mantenere nella vasca di ossidazione biologica la giusta concentrazione e attività del fango (legata alla sua età) bisogna quindi procedere ad un continuo spillamento della quantità eccedente che via via si forma. Nei piccoli impianti questo prelievo è discontinuo, con una periodicità variabile da giorni a ore. Nei grandi impianti si opera uno spurgo continuo. E’ importante sottolineare che la produzione di fango è a sua volta legata alla quantità prelevata. Se si operano frequenti prelievi in modo da diminuire la concentrazioe4 del fango fino a 2-3 gr MLVSS/litro Si ottiene un maggiore rapporto di cibo/microrganismi e questi ultimi si sviluppano più velocemente (fase di crescita attiva). Per mantenere ora questa bassa concentrazione bisogna estrarre dall’impianto una quota di fango superiore a quella che si sarebbe estratta per mantenere una concentrazione, per esempio, di 5 gr MLVSS/litro. In questa condizione il tasso di riproduzione dei batteri è più limitato. In altre parole c’è una relazione inversa (non lineare !) tra età del fango e produzione del fango di supero.
Gli impianti GOST operano nella fase di respirazione andogena dei microrganismi, ovvero con bassissimi rapporti cibo/microrganismi (impianti di areazione prolungata). In queste condizioni si hanno le minori produzioni di fango di supero. Questa soluzione è molto indicata per i piccoli impianti di depurazione perché permette di ottenere fango di supero in quantità molto ridotte e in condizioni di buona stabilizzazione. Ciò semplifica al massimo la stabilizzazione riducendo gli interventi di manodopera, generalmente poco disponibile nei piccoli impianti, al minimo possibile. Questo vantaggio si ottiene a scapito di una maggiore spesa energetica per unità di BOD rimosso. Infatti il BOD estratto in meno sotto forma di fango viene ossidato in vasca con i meccanismi della respirazione endogena; in pratica oltre che per la depurazione del liquame è necessario altro ossigeno per la parziale “digestione” aerobica del fango che si realizza con queste tipologie impiantistiche. Nei grossi impianti in cui si devono ottimizzare le ingenti spese energetiche e la manodopera è comunque assicurata, si opera con “carichi di fango” (rapporto cibo/microrganismi) medio-alti, quindi con basse età del fango di supero e bassi tempi di permanenza idraulica.
La produzione di fango di supero tipiche sono nell’ordine di 0,8-1 kg di sostanza secca per kg di BOD rimosso per impianti ad alto carico e dell’ordine di 0,4-0,6 kg di sostanza secca per kg di BOD rimosso per gli impianti ad areazione prolungata (bisogna anche tenere conto che in questi ultimi di solito non è prevista la sedimentazione primaria, perciò il fango di supero si estrae tutto dal sedimentatore finale, mentre nei primi la produzione di fango è ripartita tra sedimentatore primario e secondario; le cifre riportate indicano la produzione complessiva). Si consideri che 1 kg di BOD viene prodotto dallo scarico giornaliero di 14-16 abitanti, e che il fango di supero viene estratto dagli impianti ad un tasso di umidità del 98,5-99%; il mezzo kg di sostanza secca generata da questo numero di abitanti occupa perciò un volume di 35-50 litri. Un piccolo impianto a fanghi attivi che operi in areazione prolungata genera quindi circa 2-3 litri di fango al giorno per abitante. Anche una piccola comunità di 500 abitanti produce quindi giornalmente una quantità di fango di supero non trascurabile (circa 1-1,5 m³ su 100-120 m³ di liquame trattato). Abbiamo messo in evidenza come la notevole produzione del fango di supero può sia da ricondurre essenzialmente alla sua altissima percentuale di acqua. Sarà possibile quindi, con opportuni trattamenti di disidratazione, ridurne considerevolmente il volume. Per esempio 1000 litri di fango al 99% di umidità si riducono a 100 litri portandone l’umidità a 90%, a 50 litri con umidità del 80% o a 33 litri con il 70%. Questa notevole riduzione di volume andrà tutto a vantaggio dei successivi trattamenti di smaltimento. Inoltre il fango disidratato presenta minori problemi igienici perché il diminuire del tasso di umidità rende sempre più difficile il verificarsi dell’attività batterica responsabile dei fenomeni putrefattivi.
La disidratazione del fango di supero può essere effettuata in vari modi, la maggior parte dei quali costosi e alla portata solo dei grandi impianti. Il modo più semplice è quello di lasciar semplicemente essiccare il fango all’aria. Sono richieste però notevoli superfici di terreno, possibilmente coperto, e non sono eliminati completamente i rischi igienici. Questo sistema è quindi praticabile solo nei piccoli impianti. Più sicuro ed affidabile è il metodo adottato nell’impianto che consiste in una stabilizzazione chimica del fango seguita da un processo di disidratazione meccanica. Nel nostro caso viene disidratato per filtrazione. Per rendere più agevole questa operazione e per eliminare i rischi igienici connessi con la manipolazione del fango “fresco”, questo viene prima “condizionato”, cioè trattato con reagenti chimici che creano un ambiente fortemente sfavorevole per la vita dei microrganismi. Una volta disidratato il fango non sarà quindi più putrescibile e saranno ridotti i rischi legati alla presenza di batteri patogeni. I reagenti chimici usati sono calce (viva o idrata) e polielettrolita organico cationico. Le quantità necessarie sono modeste. Un kg di calce è sufficiente per condizionare (portare il pH oltre 11,5) 2 Kg di fango (come sostanza secca), cioè 1 m3 al 98% di fango così come estratto. Il polielettrolita richiesto per la stessa quantità è dell’ordine dei grammi.
Il condizionamento viene fatto il un apposito recipiente dotato di agitatore, dove il fango e i reagenti vengono mescolati per alcune decine di minuti. La successiva filtrazione avviene in appositi sacchi drenanti, per effetto della semplice pressione idrostatica del liquido.
Dopo una prima filtrazione grossolana in cui l’acqua che percola all’esterno dei sacchi viene raccolta e rinviata in testa all’impianto (essendo molto inquinata), i sacchi vengono staccati, chiusi e messi a stoccare in un luogo asciutto e riparato dalla pioggia. Con il tempo in questo modo si completa il processo di disidratazione del fango per semplice evaporazione naturale, finchè questo assume la consistenza di un terriccio asciutto friabile a cui corrisponde una umidità del 50-60% o anche meno.
Nell’impianto  il trattamento del fango di supero avviene automaticamente grazie ad un temporizzatore che regola tutte le fasi: prelievo, aggiunta reagenti, mescolamento, scarico. La frequenza del prelievo è ugualmente impostabile sul temporizzatore. Essa può variare nel tempo come conseguenza di variazioni nelle condizioni operative (clima, temperatura, composizione scarico,…) e può quindi essere necessario provvedere di tanto in tanto ad un suo aggiustamento in modo da mantenere la voluta concentrazione di fango nella vasca di areazione.
Lo scarico del fango dal sedimentatore alla vasca di trattamento chimico avviene sfruttando il battente idrostatico. Una valvola comandata da galleggiante arresta il flusso quando il carico del fango da trattare a raggiunto il volume desiderato. Di seguito viene avviato il mescolamento e l’aggiunta dei reagenti. Queste operazioni si protraggono per un tempo prefissato, dopo do che l’agitatore si arresta e si apre la valvola di scarico del fango trattato che viene in questo modo inviato (semplicemente sfruttando il residuo battente idrostatico) ai sacchi filtranti.

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